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Genova: visioni miopi sotto il ponte

Considerazioni a margine del bando di concorso internazionale di progettazione per il masterplan di rigenerazione del quadrante Valpolcevera e lo studio di fattibilità del nuovo parco urbano

GENOVA. La Valpolcevera per decenni ha subito quello che il resto della città non poteva, in alcuni casi, ospitare a causa della mancanza di spazio, l’insediamento della raffineria dei Garrone, le infrastrutture autostradali e ferroviarie nell’unica valle aperta del Genovesato. Tra queste infrastrutture nel dopoguerra viene realizzato il viadotto capolavoro dell’ingegneria progettato da Riccardo Morandi. Un viadotto esito di una sperimentazione sul calcestruzzo che il 14 agosto 2018 collassa trascinando con sé disperazione e morte. In quella data crolla anche l’idea di modernità connessa all’idea di Stato. Nelle ore e nei giorni successivi una paralisi ha colpito tutti, incapaci di capire quale futuro attendere e progettare. In qualsiasi altra situazione la razionalità avrebbe avuto la meglio sulla frenesia e l’emotività, ma l’incompetenza e la scarsa professionalità della classe politica al governo di Genova ha creato molta confusione spacciandola per efficienza. Il pluristellato architetto Renzo Piano ha cucinato un progetto adatto alla tragedia, rassicurante e senza quella forza che era propria del viadotto Morandi.

Non c’è stata discussione; si è agito senza pensare, si doveva fare. Nessuna voce contraria si è levata, solo alcune voci sparute, minori, che hanno tentato di aprire il dibattito che è avvenuto solo nelle aule universitarie grazie alla lungimiranza di docenti come Carmen Andriani e Manuel Gausa. [Cfr. la nostra inchiesta: «Genova e il fantasma del ponte Morandi»]

La consultazione farsa di manifestazione d’interesse da parte di raggruppamenti d’imprese e progettisti per la ricostruzione del ponte ha evidenziato, ancora una volta, la debolezza italica: agire sempre e comunque in emergenza. L’emergenza tollera ogni forma di abuso di potere politico e legislativo solo per raggiungere un consenso elettorale immediato. D’altronde non deve sconvolgere che Genova sia in Italia la città più viziata e che ha beneficiato nel tempo di sovvenzioni dello Stato, senza rimboccarsi le maniche, se non ritorniamo alla ribellione agli austriaci condotta da Giovanni Battista Perasso detto il Balilla; era però il 5 dicembre 1746.

Anche per il concorso del masterplan del quadrante Valpolcevera, praticamente l’area sottostante il nuovo viadotto, ci vorrà l’aiutino statale e poi si dovranno presentare gli esiti ai privati che dovranno sostenerne la realizzazione. Indubbiamente va dato atto all’Ordine degli Architetti di Genova e al CNAPPC di aver posto regole chiare alla politica efficientista o presunta tale dell’amministrazione Bucci. Un altro discorso è quanto la politica ha condiviso un approccio nuovo per Genova alle trasformazioni urbane, anche se emerge un’assenza di visione d’insieme nel rapporto tra Valpolcevera e resto della città e della stessa valle a nord e sud. Questo fatto risulta ancora più grave se passiamo alla macro scala, dove non è stato immaginato nessun piano strategico né piano di governo del territorio in questi anni, come accaduto invece a Milano con le amministrazioni Pisapia e Sala. Il concorso genovese consente tuttavia, per la prima volta, al CNAPPC di finanziare con centomila euro i premi, mentre l’Ordine genovese con diecimila euro copre le spese della giuria; una spinta importante per eleggere il concorso come modalità operativa abituale.

La crisi della mancanza di visione coincide con la crisi del ruolo di assessore all’Urbanistica. Si è passati da un tecnico-politico come Bruno Gabrielli, allievo di Giovanni Astengo, alla sindaca Marta Vincenzi che tenne per sé la delega, all’assessore della giunta Doria Stefano Bernini, per finire con Simonetta Cenci, partner professionale e nella vita di Alfonso Femia (ex 5+1), alla sua prima esperienza amministrativa.

Ma torniamo al concorso. Il fatto di aver concentrato tutto nell’area prospiciente il sedime della nuova infrastruttura dimostra la scarsa lungimiranza nel pensare alla Valpolcevera nel suo insieme. Inoltre, gli interventi considerati risolutivi contribuiranno a marginalizzare ancora di più il quartiere che guarda al concorso come ultima possibilità di riscossa sociale e culturale, proprio perché disconnessi dal resto della valle. Il masterplan non riflette neppure sulle future infrastrutture come l’alta velocità, che prevede d’insediare la nuova stazione in zona Trasta non lontana da Bolzaneto, fatto evidenziato dagli studenti universitari nei corsi suddetti e che nessuno ha considerato d’inserire nel bando almeno come ipotesi di scenario.

Se analizziamo poi nel dettaglio il disciplinare di concorso, non si comprende la discrepanza nei parametri di valutazione: ad esempio, i punti assegnati nel primo grado del concorso sono 60 per la coerenza del progetto con le linee guida, mentre la qualità della “valorizzazione urbana” 40 e la qualità dell’idea progettuale 20. Nel secondo grado la qualità del progetto urbano e delle connessioni ne vale 40, mentre la qualità architettonica dello spazio vale 20 punti (incomprensibile, dovrebbero avere lo stesso punteggio).

Confrontando questo concorso con quello degli ex scali Farini a Milano si denota nell’esempio milanese – vinto da OMA/Rem Koolhaas – un’impostazione più approfondita. Infatti salta all’occhio la richiesta ai progettisti di elaborare scenari futuri dell’assetto morfologico, tipologico e spaziale, al pari di un coinvolgimento diretto e maggiore dei cittadini: la cosiddetta partecipazione. A Genova non accade, città dove cento anni fa nasceva Giancarlo De Carlo, che della partecipazione ha fatto il suo modus operandi. I genovesi parteciperanno a giochi fatti, quando la giuria composta dagli Avengers e guidata da Stark (Tony, non Philippe Starck) in una sola settimana sceglierà il progetto migliore.